LA DOLCE ARTE DI ESISTERE dal 9 aprile al cinema
ADAGIO FILM
PRESENTA
LA DOLCE ARTE DI ESISTERE
Regia di
Pietro Reggiani
Con
Francesca
Golia - Pierpaolo Spollon- Rolando Ravello –
Anita Kravos - Salvatore Esposito
PRODOTTO
DA
ADAGIO
FILM
IN
ASSOCIAZIONE CON EMMEDUE VIDEOPRODUZIONI
E IL SOSTEGNO DELLA TRENTINO FILM COMMISSIONE DEL
FONDO PER IL CINEMA DELLA REGIONE LAZIO
USCITA NELLE SALE
9 APRILE 2015
Cast artistico principale
Francesca Golia Roberta
Pierpaolo Spollon Massimo
Claudia Amato Roberta
bambina
Edoardo Olivieri Massimo
bambino
Asya Pignanelli Roberta
ragazzina
Anna Ferraioli Ravel Cecilia
Sara Putignano Rita
Anita Kravos madre di Roberta
Pietro Bontempo padre
di Roberta
Beatrice Uber madre di Massimo
Giuliano Comin padre
di Massimo
Rolando Ravello Vincenzo
Francesca Cuttica Federica
Salvatore Esposito Saverio
Carlo Valli
voce
del narratore
Cast tecnico principale
direttore della fotografia Luca
Coassin
montaggio Erika Manoni
scenografia Daniele Frabetti
costumi Ginevra De Carolis
suono in presa diretta Carlo
Missidenti
montaggio del suono e mix Marco Furlani
Mix Paolo
Segat per Ren'n'play
sceneggiatura e regia Pietro
Reggiani
organizzatori Giacomo Lucci e
Gianfranco Strazza
Greening
director Francesca
Carillo
film
girato secondo il protocollo ambientale per produzioni cinematografiche British
Standard 8909
durata
96'
Sinossi
In un mondo in cui si suppone esista
l'invisibilità psicosomatica, ovvero in cui le persone con difficoltà di
relazione, in certe situazioni, diventano letteralmente invisibili, seguiamo
l'incontro tra Roberta (Francesca Golia “La grande bellezza”, “La Bella
Addormentata”) , che ha bisogno di attenzione, altrimenti scompare, e Massimo
(Pierpaolo Spollon “Terraferma”, “Leoni”), che al contrario, ansioso, scompare
se sente attenzione su di sé.
Note regia
Mi sembrava, quella dell'invisibilità, una buona
metafora di una difficoltà ad affrontare la vita. Mi piaceva aver immaginato
due invisibilità – mi era venuta più immediata quella legata all'ansia,
all'essere oggetto di attenzione, ma mi suonava bene anche quella opposta,
legata al non ricevere alcuna attenzione.
A questo punto si presentava un bivio:
l'invisibilità dei protagonisti poteva o meno essere eccezionale. Nel primo
caso, i due che per la prima volta nella storia dell'umanità scomparivano
sarebbero divenuti celeberrimi, e in un certo senso fatalmente destinati a
incontrarsi. Questa versione aveva il pregio di permettere una riflessione
esplicita sull'invisibilità: i sociologi, nel film, avrebbero riflettuto su
quanto l'apparire di una scomparsa per ansia fosse stata una spia
dell'eccessiva pressione sulle giovani generazioni, ritenute beneficiarie di
eccezionali opportunità educative e tecnologiche; e quanto l'apparizione di una
scomparsa per solitudine e avvilimento non fosse, al contrario, la spia di una
eccessiva indulgenza verso i giovani, lasciati liberi di sbagliare al punto da
non sentirsi sostenuti nei loro sforzi quotidiani. Non sarebbe stato sottaciuto
il verosimile legame che fenomeni di invisibilità apparissero in una società
fortemente condizionata dall'immagine, o che queste difficoltà nei rapporti
umani fossero ingigantite dal passaggio di una ampia fetta di vita relazionale
alla dimensione virtuale del computer;
né, infine, che in una società
sempre più aperta, perfino liquida, le occasioni di riuscire ma anche di
fallire sono sempre più numerose, portando a fenomeni opposti e complementari
di ansia e di depressione.
Ma, a fronte di alcune ottime scene per
discettare sul fenomeno, la storia intima dei protagonisti e il loro lottare
contro l'inesistenza sarebbero stati fortemente condizionati dalla loro
celebrità: mentre a me piaceva l'idea che i percorsi fossero più quotidiani,
che la parte di ognuno di noi che vorrebbe scomparire o che si sente invisibile
trovasse in loro due campioni più a portata di mano. Di qui la decisione di
optare per la seconda soluzione: l'invisibilità sarebbe stata, nel mondo del
film, una sindrome già conosciuta, nota come invisibilità psicosomatica. E il
verificarsi delle scomparse avrebbe suscitato la panoplia delle reazioni che
sappiamo dipendere dai caratteri di ognuno, dal disagio al dolore,
dall'assuefazione all'esasperazione. E il percorso dei nostri personaggi
sarebbe avvenuto in una dimensione di quotidianità, di intimità. Le
considerazioni sulla rilevanza sociale del fenomeno in fondo potevano rimanere
implicite ed essere affidate allo spettatore o, se vogliamo, alle note di
regia.
Risolversi all'invisibilità sindrome già
conosciuta in effetti rendeva però impegnativo conservare il giusto tono del
film: per due scomparse uniche nella storia dell'umanità, infatti, sarebbero
abbondati i modelli di commedie in cui nel nostro mondo avviene un fenomeno
'impossibile' – basti citare l'ormai classico 'Zelig' o, tra i tanti recenti, i
film scritti da Kaufman, come 'Being John Malkovich' o 'Eternal Sunshine of the
Spotless Mind'. Invece, per una commedia
in cui nel nostro mondo un fenomeno 'impossibile' è relativamente normale, non
avevo esempi precisi. E forse proprio perché un equilibrio del genere non è
facile da mantenere: non si poteva soltanto ridere dell'assurdità delle
scomparse, perché i due personaggi erano anche due malati. Così, occorreva
stare abbastanza distanti da loro per poterne ridere, ma non troppo distanti
per non ridurli a macchiette, al cui percorso intimo non avremmo prestato
attenzione; al tempo stesso, bisognava stare attenti a non avvicinarsi troppo,
oppure avremmo visto soltanto il loro dramma, di cui la scomparsa avrebbe
finito con l'essere un mero accessorio accidentale.
Di questa volatilità del tono ero molto
consapevole, quando abbiamo girato, nell'estate 2012. E infatti ero molto
preoccupato di riuscire a girare tutto quello che era in sceneggiatura, che mi
sembrava avesse la giusta misura: temevo che, omettendo qualche parte del film,
il percorso dei personaggi potesse avere degli scarti, che in un equilibrio
così delicato potevano essere fatali. E quello che era in sceneggiatura non era
poco: mi piaceva che il film potesse osservare attraverso la lente
dell'invisibilità psicosomatica tante situazioni e tanti personaggi che mi
sembrava di poter descrivere, e alla fine c'erano 91 location e 148 personaggi
secondari. Forse non è stata una impresa particolare in assoluto, ma per me che
non ero mai stato produttore poter girare per nove settimane, e tutta quella
roba, con un budget non alto (inferiore ai trecentomila euro) è stata in
effetti una piccola impresa.
Avevo anche cercato di impostare una produzione a
basso impatto ambientale, seguendo le linee dell'unico protocollo di produzione
sostenibile allora esistente, il British Standard BS 8909 (l'italiano Edison
Green Movie era ancora in fase di elaborazione); avevo stabilito che ci fosse
una figura di riferimento, per quel che riguardava gli aspetti ambientali, e
spulciando tra i credits delle cinematografie più sensibili di noi in materia
avevo optato (dopo aver scartato un rinascimentale ma poco comprensibile
'mastro del verde' o 'verdemastro') per chiamarla greening director. I
risultati pratici ci sono stati: avevamo un catering senza il micidiale
materiale a consumo, i boccioni d'acqua invece delle bottigliette, l'asta del
microfono invece dei radiomicrofoni a batterie (e le imprecazioni del direttore
della fotografia per riuscire a evitare che le sue luci proiettassero l'ombra
dell'asta sui personaggi), l'attacco alla rete invece dei gruppi elettrogeni
(questo più facile, perché non avremmo potuto permetterceli in ogni caso); ma
abbiamo avuto anche dei cedimenti, sui quali, dato che già insistevo per girare
ogni riga di sceneggiatura, alla fine ho rinunciato ad insistere – come quei
clamorosi sacchi di indifferenziata degli ultimi giorni di ripresa. Non vi devo
dire come sia convinto che la questione ambientale è quella dei nostri tempi, e
che i rischi che stiamo correndo come cittadini del mondo sono davvero troppo
grandi. Stiamo cercando di fare qualcosa a minor impatto anche durante la
distribuzione.
Tornando al montaggio, però, mi sono reso conto
che la volatilità dei toni era ancora maggiore di fronte alle immagini, più
imprecise delle parole. Avevo montato con una semplice supervisione il mio film
precedente, 'L'estate di mio fratello', e mi sono intestardito a trovare il
giusto tono da solo. Dopo un anno, nell'autunno 2013, era non solo chiaro che
da solo non ci sarei riuscito, ma che per giunta Salvatores stava girando un
film con una invisibilità legata a fattori emotivi! Piano piano, con
l'intervento di una montatrice professionista, Erika Manoni, con l'ampliamento
della voce narrante, che era già in sceneggiatura, e con l'arrivo ad interpretarla
di una grande, generosa voce del cinema italiano come Carlo Valli, abbiamo
raggiunto quello che considero il giusto tono: non così rapidamente da riuscire
ad arrivare in sala prima di Salvatores, ma abbastanza per offrire
l'invisibilità psicosomatica ai nostri spettatori.
Pietro
Reggiani
Veronese,
nato il 23 gennaio 1966, è figlio del giornalista Stefano Reggiani, che nel
1968 si trasferisce a Torino a lavorare a 'La stampa', diventa critico
cinematografico e porta spesso il bambino con sé al cinema, pur rifiutandosi di
accompagnarlo a rivedere 'FBI Operazione gatto'. Rientrato a Verona in
preadolescenza, studia poi giurisprudenza a Bologna, dove si laurea nel 1991 –
ma già ha frequentato, con prudenza, le lezioni di Riccardo Freda a Padova e
gli incontri di Ipotesi Cinema a Bassano; lavora quindi all'agenzia
pubblicitaria Onecaktus di Verona, poi nel 1994 si trasferisce a Roma, dove
frequenta, prima da imbucato poi da uditore, i corsi di sceneggiatura
Rai-Script. Nel 1997 fonda la Nuvola Film insieme ad Antonio Ciano e produce il
corto 'Asino chi legge' (candidato al David e Nastro d'Argento per la
produzione) e il lungo 'L'estate di mio fratello' (premiato a Tribeca e a
Montreal). Nel 2009, seguendo ritmi al solito non celeri, costituisce la Adagio
Film.
FRANCESCA
GOLIA
Salernitana,
nata il 17 marzo del 1987, Francesca ha cominciato a recitare nella sua città
fin dall'adolescenza. Dopo la maturità si è trasferita a Roma e, dopo un anno
di laboratorio presso il teatro La Cometa, è partita per studiare a New York,
presso il Lee Strasberg Institute. Al suo ritorno in Italia, nel 2008, è stata
scelta da Francesca Comencini per debuttare ne 'Lo spazio bianco'. Al cinema
('La storia di Laura', 'La kryptonite nella borsa, 'La bella addormentata', 'La
grande bellezza') alterna il teatro, tra Shakespeare, Cechov e i classici.
Racconta che i suoi amici si sono molto divertiti, quando hanno saputo che
avrebbe interpretato una ragazza che scompariva, se non le davano attenzione.
PIERPAOLO
SPOLLON
Padovano,
nato il 10 febbraio del 1989, Pierpaolo al liceo sostiene i provini per 'La
giusta distanza' di Mazzacurati. Non viene scelto, ma Alex Infascelli vede il
provino e lo fa debuttare in 'Nel nome del male'. Dopo aver recitato anche in
'Terraferma' di Crialese si trasferisce a Roma, dove studia con Beatrice Bracco
e Gisella Burinato. Arrivano i primi ruoli televisivi ('Il giovane Montalbano',
'Un passo dal cielo', 'Una grande famiglia'), poi nel 2014 la selezione al
Centro Sperimentale. E' nel cast di 'Leoni' di Pietro Parolin, dove ritrova il
dop Luca Coassin. Quando deve lasciare il set dopo aver terminato le sue
riprese, le donne della troupe per festeggiarlo si vestono con i numerosi abiti
da sposa disponibili in sartoria.
ANITA
KRAVOS
Nata
a Trieste il 2 aprile 1974, cresce in un paese di lingua slovena in provincia
di Gorizia. Comincia a recitare in adolescenza, e prosegue anche quando si
trasferisce a Venezia per l'università. Nel 1998 frequenta il corso di
perfezionamento teatrale internazionale l'Ecole des maitres, cui segue una
tournée europea che giunge fino a Mosca. Qui frequenta per due anni l'accademia teatrale GITIS. Si
trasferisce quindi a Roma, dove all'attività teatrale comincia ad affiancare
quella cinematografica. Per il suo primo ruolo da protagonista, in 'Come
l'ombra', viene premiata tra gli altri al festival di Mons, in cui conosce
Pietro Reggiani. Seguono numerosi altri titoli (tra tutti, 'Alza la testa', in
cui interpreta la transessuale Sonia e viene candidata al David, e 'La grande
bellezza', in cui interpreta Talia Concept – ma anche 'Ruggine', 'E la chiamano
estate', La accacabadora'...). E' Adelina, l'organizzatrice del festival di
Mons, a dare la sua mail a Reggiani, che può così ricontattarla.
ROLANDO
RAVELLO
Romano,
nato il 4 giugno 1969, studia alla scuola di recitazione 'La scaletta', ma
presto al teatro si affianca la conduzione televisiva. Scola lo fa esordire da
protagonista ne 'll romanzo di un giovane povero'. Due anni dopo, nel 1997,
incontra Pietro Reggiani, per cui fa il protagonista nel cortometraggio 'Asino
chi legge', candidato ai David. Ai numerosi ruoli cinematografici (tra tutti,
'Almost blue', 'Ultimo stadio', 'Certi bambini', 'Il paese delle spose infelici',
'Diaz'), teatrali ('Miracoli',
'Agostino'...) e di fiction (la celebrità con 'Pantani' e 'La squadra'),
aggiunge la sfida della regia, con 'Tutti contro tutti' e 'Ti ricordi di me?'.
In effetti, viene alla sera delle riprese direttamente dal montaggio del suo
primo film come regista.
SALVATORE ESPOSITO
Napoletano
dell'hinterland, nasce a Mugnano nel 1986, Lavora in un fast food con un
inusuale contratto a tempo indeterminato, ma intanto frequenta corsi di dizione
e laboratori teatrali, finché decide di seguire la sua passione, lasciare il
lavoro e trasferirsi a Roma. Qui frequenta la scuola di Beatrice Bracco, in cui
conosce Pierpaolo Spollon. Al saggio finale del secondo anno viene notato dai
casting Francesco Vedovati e Valeria Miranda, che lo chiamano per i provini de
'Il clan dei camorristi'. E' l'amico Pierpaolo a fargli, a Villa Borghese, le
foto che presenterà come book. E a proporgli di interpretare nel film il ruolo
di Saverio, un ragazzo rude nei modi ma tenerissimo dentro. Sul set Salvio
riesce benissimo nell'accento romano e nell'improvvisare e dirigere quelle
discussioni accese e scomposte tra ragazzi di borgata che devono terrorizzare i
genitori di Massimo, desiderosi che lui frequenti la buona società. Il suo
ruolo in effetti diventa, dopo che partecipa a 'Il clan dei camorristi' e
soprattutto dopo aver dato vita al Genny Savastano di 'Gomorra la serie', e
complice il montaggio tribolato e prolungato del film, quello che potremmo
chiamare un 'cameo a posteriori'. Dal 20 marzo Salvio sarà all'estero per le
nuove riprese della fiction, ma è molto felice che il film esca, ed è rimasto
il ragazzo dolce che avevamo conosciuto.
CARLO
VALLI
Astigiano, nato il 4 ottobre 1943,
comincia a recitare fin da bambino, alla radio. Si trasferisce a Roma per
studiare all'Accademia Silvio D'Amico, e comincia una carriera di attore
teatrale che continuerà per tutta la vita. Negli anni settanta debutta anche al
cinema (tra gli altri, lavora con Bolognini in 'Imputazione di omicidio per uno
studente' e Rossellini ne 'Gli atti degli apostoli) e in televisione (dove
interpreta numerosi sceneggiati, come 'La donna di picche' e 'Orlando
furioso'). Prende via via piede poi la sua carriera di doppiatore, adattatore e
direttore del doppiaggio, che lo porta ai vertici della categoria e per cui
riceve nel 1995 il Nastro d'Argento per aver dato la voce al Robin Williams di
'Mrs. Doubtfire': ma gli attori doppiati sono davvero numerosissimi (Broadbent,
Sheen, Dreyfuss, Lloyd, Hopper...). Nell'interpretare l'inusitatamente ampia
voce narrante del film, commenta scherzosamente che sta facendo 'una
radiocronaca'.
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